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NEWSLETTER

Lo Studio pubblica le «newsletter», che illustrano le principali novità giuridiche ed amministrative nei campi che interessano la propria  clientela, cui esse sono riservate ed a cui vengono rimesse gratuitamente. I contributi scientifici, tecnici e divulgativi, redatti a cura dei singoli dipartimenti dello Studio, sono di proprietà dei rispettivi Autori, soci o associati dello Studio. A cadenza più ravvicinata sono, invece, inviate le «flashnews», che informano in modo essenziale sulle più recenti interpretazioni giurisprudenziali e amministrative attinenti alle materie trattate nelle newsletter. Le informazioni che si evincono dalle newsletter e dalle flashnews non costituiscono ovviamente espressione di attività professionale, sicché lo Studio non può ritenersi responsabile per qualsiasi uso fattone in carenza della richiesta di uno specifico parere. In questa sezione viene pubblicata periodicamente l'ultima flashnews inviata.

GIUGNO 2025

QUANDO SI CONSUMA IL REATO DI REVENGE PORN

L’art. 612-ter cod. pen. punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000 chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate; la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La Quinta Sezione Penale della Cassazione, nella sentenza n. 18473 del 16 maggio 2025,  ha chiarito che le diverse condotte – alternativamente punite – di consegna o di cessione presuppongono l’arrivo delle immagini ad un qualche destinatario, mentre la condotta di invio delle stesse, non diversamente dalla diffusione e dalla pubblicazione, si consuma nel momento esatto in cui l’autore invia (o diffonde o pubblica) le immagini in suo possesso senza il consenso della persona ritratta. 

DISCRIMINATORIO LICENZIARE IL DISABILE SE SCADE IL COMPORTO

La Sezione Lavoro del Tribunale di Roma con la sentenza n. 5382 del 3 dicembre 2024 ha aderito all’innovativo indirizzo di legittimità (Cass. 5 giugno 2024, n. 15747; Cass. 2 maggio 2024, n. 11731; Cass. 21 dicembre 2023, n. 35747; Cass. 31 marzo 2023, n. 9095), secondo cui configura discriminazione indiretta la disposizione della contrattazione collettiva che preveda un unico termine di scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro del dipendente assente per malattia, senza considerare in misura differenziata i lavoratori portatori di handicap. Il licenziamento conseguentemente comminato, neppure preceduto dalla richiesta da parte del datore di lavoro di preventivi chiarimenti al lavoratore in ordine a tali aspetti e dal preavviso dell’approssimarsi della scadenza del comporto, è nullo e implica la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con la corresponsione di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr dalla data del licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Sulla stessa linea è la normativa dell’Unione, che attribuisce al disabile il diritto ad un «accomodamento ragionevole» nell’ambito organizzativo datoriale (Corte Giust. Ue 18 gennaio 2024, C-631/22). 

REGISTRAZIONE DELL’ORARIO LAVORATIVO NEL LAVORO DOMESTICO

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza del 19 dicembre 2024, C-664/23) ha stabilito che gli artt. 3, 5 e 6 della direttiva 2003/88, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, letti alla luce dell’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, nonché alla sua interpretazione da parte dei giudici nazionali, o a una prassi amministrativa fondata su una siffatta normativa, in forza delle quali i datori di lavoro domestico sono esentati dall’obbligo di istituire un sistema che consenta di misurare la durata dell’orario di lavoro svolto dai collaboratori domestici, privando pertanto questi ultimi della possibilità di determinare in modo obiettivo e affidabile il numero di ore di lavoro effettuate e la loro ripartizione nel tempo. 

IL LAVORO «ESTORTO»

Secondo la Sesta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 18326 depositata il 15 maggio 2025) costituisce reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, dopo avere assunto dei dipendenti, minacci di licenziarli qualora non accettino condizioni lavorative deteriori rispetto a quelle contrattualmente stabilite. La costrizione dei lavoratori a prestazioni lavorative superiori rispetto a quelle previste (ad esempio, lavoro straordinario non retribuito o superamento dell'orario di lavoro stabilito) rientra nell'ambito della fattispecie dell'estorsione qualora vi sia la minaccia della perdita del posto di lavoro. 

LAVORI NEL CONDOMINIO: LA RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE

L'amministratore di condominio che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio può assumere la posizione di committente e quindi è tenuto all'osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice, di informazione sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e di cooperazione e coordinamento nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione, quando la delibera assembleare gli riconosca autonomia di azione e concreti poteri decisionali (Cassazione, Quarta Sezione Penale, 23 aprile 2025, n. 18169). 

L’AMMINISTRATORE DI FATTO

Si legge nella sentenza n. 9130 depositata dalla Terza Sezione Penale della Cassazione il 5 marzo 2025 che, in tema di reati tributari, ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto non occorre l'esercizio di tutti i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale. 

L’ACCESSO AGLI ATTI NON PUÒ AVERE UNA FUNZIONE ESPLORATIVA

Il diniego di accesso agli atti – ha affermato la Settima Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 1761 del 28 febbraio 2025 - può essere legittimamente opposto ogni qual volta l'istanza risulti generica, sia sotto il profilo dei documenti richiesti, sia sotto quello del labile interesse all'ostensione. L'accesso, infatti, deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso dell'amministrazione che detiene i documenti, indicata in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non può riguardare un complesso non individuato di atti di cui non si conosce neppure con certezza la consistenza e il contenuto e, soprattutto, la pertinenza rispetto alla condizione della richiedente, assumendo altrimenti l'istanza un sostanziale carattere di natura meramente esplorativa, inammissibile in base all’art. 24, comma 3, L. n. 241/1990. 

LA RIPARTIZIONE DELLA RESPONSABILITÀ MEDICA

La responsabilità della struttura sanitaria per i danni causati al paziente viene qualificata come «contrattuale», sia per i propri inadempimenti che per i comportamenti colposi o dolosi dei medici di cui si avvale, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 cod. civ., anche se non sono suoi dipendenti. La Tredicesima Sezione del Tribunale di Roma nella sentenza n. 2925 del 26 febbraio 2025 ha applicato il principio in base al quale, seppure la struttura sanitaria risponde verso il paziente per l'intero danno subìto, tale responsabilità solidale non incide nei rapporti interni con il medico: infatti, fra questi due condebitori l'obbligo di risarcire i danni al paziente si divide in base al grado di responsabilità di ognuno di loro. 

L’ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE

L’art. 322 cod. pen. punisce per istigazione alla corruzione chi offre o promette denaro o altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, qualora l'offerta o la promessa non venga poi accettata. Per la sussistenza del reato, specifica la Sesta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 10941 depositata il 19 marzo 2025: a) l'idoneità dell'offerta dev’essere valutata con giudizio «ex ante», sicché il reato può essere escluso solo se manchi l'idoneità potenziale dell'offerta o della promessa a conseguire lo scopo perseguito dall'autore, non rilevando la tenuità della somma di denaro offerta, salvo che non si connoti dei caratteri dell’assoluta risibilità; b) la serietà dell'offerta va, comunque, correlata alla controprestazione richiesta, alle condizioni dell'offerente e del richiesto nonché alle circostanze di tempo e di luogo in cui l'episodio si colloca. 

NATURA PUBBLICITARIA DELLE SPESE DI SPONSORIZZAZIONE SPORTIVA

In tema di detrazioni fiscali, la Quinta Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza  n. 4920 del 25 febbraio 2025, ha deciso che le spese di sponsorizzazione effettuate a favore di associazioni sportive dilettantistiche sono assistite da una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, solo laddove risultino soddisfatti i seguenti requisiti: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine e i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale. 

INSIDIA DEL PAVIMENTO BAGNATO E ONERE DELLA PROVA

Il Giudice Susanna Zanda, della Seconda Sezione Civile del Tribunale di Firenze, nella sentenza n. 981 del 18 marzo 2025 ha deciso la causa promossa da un cliente di un esercizio commerciale invocando la responsabilità del punto vendita per l’incidente occorsogli, argomentando che la prova che il pavimento fosse pericoloso e bagnato può essere fornita attraverso testimonianze oculari e la compatibilità delle lesioni con la caduta descritta, supportata da una consulenza tecnica d’ufficio medica. 

QUANDO È NULLO IL LICENZIAMENTO RITORSIVO

L’ordinanza n. 8645, depositata il 1° aprile 2025 dalla Sezione Lavoro della Cassazione, ribadisce che, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento fondato su motivo illecito, occorre che l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse oggettivamente ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento. 

I LIMITI DI UTILIZZO DELLE INTERCETTAZIONI

La Corte dei Conti Sicilia, Sezione Giurisdizionale, con la sentenza n. 86 del 20 marzo 2025, ha fondato la decisione su intercettazioni telefoniche ambientali effettuate nell'ambito di un procedimento penale le quali, pur se dichiarate inutilizzabili nel processo penale, in conformità all'art. 270 cod. proc. pen. sono state ammesse come prova nel giudizio contabile, perché ritenute non incompatibili con i princìpi del giusto processo e della riservatezza. 

LA DEDUCIBILITÀ FISCALE DELLE SPESE DI RAPPRESENTANZA

La Quinta Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 7667 del 22 marzo 2025, ha affermato che non sono deducibili le spese di rappresentanza, quali buoni carburante e oggetti di valore, se non viene fornita prova adeguata del loro effettivo sostenimento, della documentazione e della loro inerenza all'attività d’impresa; la semplice contabilizzazione delle spese non è sufficiente a garantirne la deducibilità, soprattutto se i beni considerati possono essere oggetto di ordinaria compravendita e non vengono usati esclusivamente con finalità promozionali. 

AMMISSIBILE LA RIDUZIONE DEL PREZZO NELLA VENDITA

Nella vendita resta esperibile l’azione di riduzione del prezzo. Lo afferma la Seconda Sezione Civile della Cassazione nell’ordinanza n. 7189 del 18 marzo 2025: questa azione, infatti, è esperibile non solo in presenza di vizi della cosa venduta, ma anche nell'ipotesi di mancanza di qualità, posto che l'art. 1497 cod. civ., nel richiamare l'applicabilità della disciplina in tema di risoluzione contrattuale, non esclude che il compratore possa avere interesse a mantenere ferma in capo a lui la proprietà del bene, conseguita attraverso il contratto. La pattuizione di un corrispettivo non preclude, pertanto, l'esperimento dell'azione volta ad ottenere la riduzione del prezzo quando l'inadempienza non è di tale gravità da giustificare la risoluzione del contratto ma giustifichi una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al minor valore del bene o dell'opera, purché il difetto non sia di trascurabile entità o scarsa importanza.

QUANDO LA TRANSAZIONE È «NOVATIVA»?

La transazione è novativa quando coesistono due elementi, uno di natura oggettiva e uno di natura soggettiva: a) sul piano oggettivo, è necessario che le parti, per risolvere o prevenire una lite, addivengano ad una rinunzia reciproca, anche parziale, alle proprie pretese, volta a modificare, estinguendola, la situazione negoziale precedente e ad instaurarne una nuova in quanto tra i due rapporti, il vecchio e il nuovo, vi sia una situazione di obiettiva incompatibilità; b) sul piano soggettivo, è necessario che sussista un'inequivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso, ovvero che esse abbiano palesato il loro intento di instaurare un nuovo rapporto giuridico e di estinguere quello originario, dando a tale volontà forma e contenuto adeguati (Cassazione, Prima Sezione Civile, ordinanza n. 5565 del 3 marzo 2025).

È REATO IL PORTO DI UN COLTELLO A SERRAMANICO

L’art. 131-bis cod. pen. prevede che nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate anche alla luce della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L’art. 4, secondo comma, L. n. 110/1975 vieta il porto -senza giustificato motivo fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa - fra gli altri, di strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, nonché di qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio ma chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona. La Prima Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 18729 depositata il 19 maggio 2025, ha escluso la tenuità del fatto (porto di un coltello a serramanico della lunghezza di cm. 21 con lama lunga cm.10, che l’imputato portava fuori dalla sua abitazione e che, all’esito di una perquisizione, veniva trovato conservato in un marsupio) pure se l’imputato non aveva utilizzato il coltello per finalità offensive, poiché quel che rileva è la pericolosità della detenzione dell’oggetto all’aperto, la quale esclude il modesto disvalore della condotta illecita. 

L’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE PER VIOLENZE DOMESTICHE

In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall'altro non è esclusa qualora risulti provato anche un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona. La Prima Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 10021 del 16 aprile 2025, ha precisato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, anche a prescindere dagli effetti fisici, gravi o meno, delle stesse. In materia di rapporti familiari, il ricorso a indizi può costituire quasi un percorso probatorio obbligato per il giudice al fine di pervenire alla verità processuale, trattandosi di comportamenti riservati delle parti, insuscettibili di percezione diretta da parte di testimoni. 

I BENI FAMILIARI AL RIPARO DEL FONDO PATRIMONIALE

La costituzione di un fondo patrimoniale è valida, ai sensi degli artt. 167 e 170 cod. civ., se la volontà delle parti è quella di creare un vincolo di destinazione sui beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia; l'atto costitutivo non può essere dichiarato simulato se corrisponde esattamente alla volontà manifestata dai coniugi di proteggere i beni oggetto del fondo dalle azioni esecutive dei creditori per debiti estranei ai bisogni familiari. Lo ha stabilito la Prima Sezione Civile della Cassazione con l’ordinanza n. 12247 del 9 maggio 2025. 

IL POSSESSO UTILE AD USUCAPIRE

Perché si configuri l'interversione della detenzione in possesso utile ai fini dell'usucapione è necessaria una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà da parte del detentore di possedere il bene «uti dominus», escludendo i diritti dei terzi e, in particolare, dei proprietari; la mera permanenza nel bene e il pagamento dei canoni di locazione non sono sufficienti a dimostrare tale interversione. Lo ha ribadito la Seconda Sezione Civile della Cassazione nell’ordinanza n. 11972 del 7 maggio 2025.